Il mio tavolino bianco
Un rettangolo bianco. Bianco e perfetto. Tenuto in piedi da 4 perfetti piedini in legno e da un perno ad x, la cui funzione, per molti anni, mi restò oscura. Mio nonno è un ebanista. Un Mastro. Uno di quegli artigiani dalle mani fatate, come non ne fanno più. Il tavolino, invece, era un regalo per me. Un regalo speciale. Di quelli che a 7 anni ti cambiano la vita.
Era bianco il mio tavolino, fatto di quel legno profumato di cui non ricordo ancora il nome. Il nonno lo aveva dipinto e lucidato. Ed io lo avevo decorato con quegli adesivi scintillanti e rosa, vezzo e rivoluzione delle bambine di quei fugaci anni Ottanta.
Era pesante il mio tavolino, ma a quell’età non è il peso a fare la differenza. Del mio perfetto tavolino bianco non avrei più potuto farne a meno. Era la mia tavolozza da scarabocchi, il desco delle grandi occasioni per le mie bambole. Era il mio perfetto tavolino bianco, dove ogni giorno preparavo la merenda per il nonno.
Un’arancia o un mandarino – se chiudo gli occhi, ne sento ancora il profumo – un bicchiere d’acqua con le bollicine e una fetta di pane spessa, di quelle che la nonna non mi avrebbe mai fatto tagliare. E poi c’era quella bella tovaglietta a scacchi rossa, essenziale per il nostro picnic privato. Detestavo quella con i fiori a tinte tenui, la sostituta Così una volta prima del rientro a casa del nonno provai a lavare nella vasca, con lo shampoo di nonna, la tovaglietta a scacchi rossi. Non si asciugò in tempo per la merenda ed io mi beccai una ramanzina e un raffreddore.
Il mio tavolino è ancora a casa dei miei adorati nonni, tra i miei vecchi giocattoli. È ancora robusto e vigoroso e profuma di agrumi, di ricordi, di voglia di piccoli magici rituali. Un po’ come me, un po’ come i nonni.
Ma dove è finita la mia tovaglietta rossa? Fra un po’ è ora di merenda, i nonni mi aspettano.