Pane salame e allegria
Quando ero piccola abitavo in un piccolo paesino di campagna e stavo tutto il tempo in mezzo alla strada, anzi in mezzo ai campi. Anche d’inverno si giocava sempre all’aperto, nei fossi ghiacciati o nelle serre improvvisate fatte di teli di plastica per coprire le verdure.
Sempre in giro in bicicletta, sul monopattino (il nonno del moderno skate sul quale facevamo ben poche acrobazie ma ci ritrovavamo sempre a terra)o su pattini pesantissimi a quattro ruote. Sempre con le ginocchia sbucciate, medicate con il mercurio che bruciava tantissimo e faceva più male della ferita provocata dalla caduta.
Sempre in compagnia. Comitive di una decina di bambini tra i quali c’era la mia amica del cuore: Simona. E con lei alle cinque facevo merenda.
Ci si prendeva una pausa dai giochi e si correva da mia mamma che ci preparava un panino con la bologna (mortadella), con il prosciutto o con un fantastico salame del contadino poco stagionato. La mia amica, più in carne di me, divorava il suo panino. Il mio restava tra le mie mani per un tempo infinito perché, seppur sollecitata da mia mamma, dimenticavo di morderlo.
Alla fine interveniva Simona e metteva fine all’agonia mangiandoselo lei e così eravamo di nuovo libere di tornare alle nostre scorribande.